Liguria. Anche a levante aumentano le cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Lo segnala Ape Confedilizia, che ha elaborato i dati resi noti dall’Agenzia delle entrate sullo stato del patrimonio immobiliare italiano. Nel 2019, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 2,7% rispetto al 2018. Ma il dato più significativo è quello che mette a confronto il periodo pre e post Imu: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati a livello nazionale, passando da 278.121 a 562.941 ( + 102%). Con tutte le immaginabili conseguenze in termini di degrado delle aree su cui insistono. Per la Liguria il dato è in linea con quello italiano, con i ruderi che da 8.200 sono diventati 16.800 circa. Di questi più della metà sono in provincia di Genova, in particolare nell’entroterra del levante e nel Tigullio.
«Si tratta – rileva Ape Confedilizia Genova – di immobili, appartenenti per il 90% a persone fisiche, che pervengono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o, in molti casi, in conseguenza di atti concreti dei proprietari finalizzati ad evitare almeno il pagamento dell’Imu (ad esempio, attraverso la rimozione del tetto). Va infatti ricordato che sono soggetti alla patrimoniale immobiliare – giunta a un carico di 22 miliardi di euro l’anno – persino i fabbricati “inagibili o inabitabili”. Il Governo e il Parlamento dovrebbero riflettere su questi dati e trarre le necessarie conseguenze». Anche perché esiste il timore che, dopo la crisi pandemica e in vista di quella economica da Covid 19, il fenomeno dell’aumento degli immobili ridotti a ruderi possa esplodere in maniera ancora più massiccia.
Nella foto, un rudere crollato in una notte di maltempo.